Durante il summit NATO di Madrid (28-30 giugno), la Turchia ha comunicato di aver tolto il veto per l’adesione all’Alleanza Atlantica di Finlandia e Svezia.
I due Stati scandinavi, in un “Memorandum Trilaterale” pubblicato il 29 giugno, hanno riconosciuto il PKK come organizzazione terrorista e, al tempo stesso, hanno annunciato che rafforzeranno gli sforzi con la Turchia per debellare la minaccia a suon di deportazioni ed estradizioni.
Di fronte alla situazione internazionale odierna, in cui l’Alleanza Atlantica si sta ricompattando in vista di un potenziale scontro con la Federazione Russa, non stupisce che gli Stati si accordino militarmente tra loro usando come moneta di scambio popolazioni non troppo, o niente affatto, gradite.
Non dovrebbero stupire nemmeno le dichiarazioni fatte dai vari vertici di Stati o organizzazioni.
Ricordiamo come, all’indomani dell’attacco russo all’Ucraina, il Presidente degli Stati Uniti Biden avesse dichiarato che avrebbe agito con un attacco atomico come misura preventiva di fronte ad attacchi contro infrastrutture strategiche.
Ma non è solo il fattore delle alleanze militare a giocare un ruolo nello scenario che riguarda la popolazione curda, né è solo questa ad essere uno degli oggetti di scambio tra gli Stati in questione.
La Turchia ha avuto più di un problema con la Svezia in passato: dalla mancata estradizione di membri del PKK alla sospensione svedese dell’esportazione di armi verso il paese governato da Erdoğan, fino all’accusa di aver dato asilo a membri della frazione borghese capeggiata da Fethullah Gülen dopo il fallito colpo di Stato del 2016.
Una situazione simile la si ritrova in Finlandia, accusata dal presidente turco di essere un rifugio per i terroristi.
In tutto ciò, bisogna considerare anche il rapporto ambivalente che Turchia e Russia hanno avuto negli ultimi anni, dato più che da considerazioni politiche, da forti interessi materiali.
Turchia e Russia sono legate a doppio filo da patti economici riguardanti il passaggio del gas (vedasi il Turkstream) o la vendita di armi verso il paese dell’est fino alla cooperazione economica nei paesi centro-asiatici. Allo stesso tempo la Turchia ha mosso passi in avanti nell’orbita dell’Europa continentale, in particolare con l’aiuto logistico-militare e cooperazione economica all’Ucraina negli ultimi mesi.
Questa posizione riflette la posizione geostrategica del paese turco. Il muoversi politicamente “a filo” tra due (o più) attori rivali è un riflesso del trovarsi ad essere una zona di frontiera tra sfere di influenza contrapposte, da una parte quella euro-atlantica e dall’altra quella russa – con tutto ciò che ne consegue in termini economi e politico-militari.
Qual è il senso di tutto ciò?
È molto probabile che la Turchia stia cercando di tenere insieme tutti i pezzi, sia sul piano interno che su quello esterno, anche di fronte ad una situazione economica e sociale potenzialmente esplosiva. Il paese, al momento, si trova ad affrontare una seria svalutazione monetaria e un’inflazione galoppante, che è passata da circa il 48% a Gennaio 2022 fino al 73% di Maggio 2022 – e per cui si prevede possa toccare il 78% alla fine di questo trimestre.
Ragion per cui, visto che l’aggressione russa all’Ucraina ha più o meno ricompattato il blocco dell’Alleanza Atlantica, è probabile che la Turchia sia chiamata dai suoi partner a fare una scelta di campo netta. Scelta di campo che il paese anatolico non intende fare se non ottiene una serie di concessioni.
Erdoğan può allora presentare la testa dei guerriglieri curdi al fronte interno, soprattutto per rilanciare la sua immagine visto il nuovo attacco sui territori curdi negli ultimi mesi, ed anche in vista delle elezioni presidenziali e parlamentari del prossimo anno. Sul fronte esterno, può avvicinarsi maggiormente all’interno dell’orbita dell’Europa continentale.
Su quest’ultimo punto, possiamo scendere in particolari di tipo economico.
Secondo i dati del “The Observatory of Economic Complexity”, nel 2020 la Svezia ha esportato merce in Turchia dal valore di circa 1,67 miliardi di dollari, cifra che equivale all’1,1% delle sue esportazioni in quell’anno. Negli ultimi 25 anni (1995-2020), le esportazioni svedesi in Turchia sono aumentate a un tasso annuo del 4,91%, passando dai 505 milioni di dollari del 1995 fino ai citati 1,67 miliardi di dollari nel 2020.
Per quanto riguarda Finlandia e Turchia, il tasso annuale di esportazioni dalla prima verso la seconda degli ultimi 25 anni (1995-2020) è stato del 5,79%, passando da 231 milioni di dollari nel 1995 a 944 milioni di dollari nel 2020, fino a raggiungere i 2,14 miliardi di dollari nel 2021. L’esport finlandese in Turchia nel 2020 rappresenta l’1,4% del volume totale di esportazioni del paese scandinavo.
Per quanto riguarda la Turchia, essa ha avuto un tasso annuale di esportazione verso la Svezia del 10,4% per il periodo che va dal 1995 (116 milioni di dollari) al 2020 (1,38 miliardi di dollari). Nel 2020, le esportazioni turche in Svezia rappresentano lo 0,78% del volume totale di esportazioni.
Allo stesso modo, il tasso annuale di esportazione tra Turchia e Finlandia del medesimo periodo è stato dell’8,87%, passando da 51,2 milioni di dollari nel 1995 a 428 milioni di dollari nel 2020.
Nel 2020 le esportazioni turche in Finlandia rappresentano lo 0,24% del volume totale.
Sebbene le cifre sul volume totale di esportazioni reciproche siano piuttosto basse (il paese preferito dai tre Stati è la Germania, verso cui si esporta merce dal valore di decine di miliardi di dollari per percentuali che si aggirano tra l’8% e il 13% del volume totale delle esportazioni), non è escluso che la firma del memorandum possa dare avvio ad una cooperazione economica di portata più incisiva.
Ma, al di là di queste brevi e succinte analisi, secondo la costruzione mediatica del movimento compagnesco, la mossa fatta dai tre Stati significherà barattare “la vita dei curdi nei loro paesi e di quelli nei territori curdi pur di entrare nella NATO. Ogni velo sull’aspetto umanitario del continente europeo cade giorno dopo giorno.”
Come Gruppo Anarchico sappiamo che non esistono Stati amici. E questo il movimento cosiddetto “antagonista” dovrebbe saperlo – e ricordarselo ogni volta, aggiungiamo. Gli Stati sono un’espressione di una elitè economica e politica atta a perpetuare lo sfruttamento razziale, di genere, di specie e di classe.
Chi paga principalmente pegno di queste decisioni borghesi e statali sono le popolazioni curde che, da più di un secolo, si ritrovano sotto i giochi di potere di regimi dittatoriali militari o democrazie.
Solidarizziamo, quindi, con una popolazione che combatte e resiste oggi giorno in Siria, così come in Iraq e Iran.
Gruppo Anarchico Galatea-FAI Catania